testi critici

Sabrina Zannier
Aldo Girardello: Naftalina e videogame, febbraio 1997
Testo per la mostra presso la galleria: Romberg Arte Club, Latina

Presentare un giovane artista significa sostenere un'urgenza, porsi sul blocco di partenza di un viaggio individuale sulla pista della collettività contemporanea.
Una pista che chiama in causa la consapevolezza della realtà in cui viviamo, delle ossessioni, delle morbosità e delle tensioni alle quali siamc sottoposti, e che sembrano essere i pochi iceberg levati sull'anestesia generale che paralizza il pensiero e l'emozionalità individuale.
Paralisi alla quale Ghirardello vuole dare una scossa, non ponendosi sulla linea dell'accellerazione visiva proposta dai mezzi di comunicazione ma, paradossalmente, congelando l'immagine in una dimensione quasi metafisica ed extratemporale.
E' la pittura che riscatta la propria posizione di stasi, che contrappone il fermo-immagine al dinamismo dell'emissione televisiva, recuperando di quest'ultima quel lieve segnale di disturbo dato dai pixel del monitor.
Piccole tracce reiterate meccanicamente, che creano una texture di superficie sempre uguale a se stessa, prodotta come da un rullo industriale che marchia tessuti, materie plastiche o metalliche imponendosi con dominio invasivo nell'universo domestico e urbano.
Quelle piccole virgole segniche ricordano le decorazioni kitsch di certe tovaglie o centrini di plastica, così come le carte da parati che rendevano accoglienti i muri delle abitazioni rimpicciolendone visivamente gli spazi abitativi.
E' un sottile velo del passato steso sugli oggetti effigiati che, osservato con lo sguardo contemporaneo, sintonizzato sui monitor della televisione e del computer, predispone al leggero fastidio provato innanzi a un'immagine mal sintonizzato.
Immediatamente dietro tale cortina di segni-segnali ci sono gli object-trouvè, dimenticati nei cassetti, piccolissimi tanto da perdersi nella sfrena di una mano, ma proiettati in iperbole sulla superficie pittorica, che così li abilita al ruolo di protagonista dell'inutile, se inutile è il gingillo di un gioco infantile o la statuetta di porcellana che occupa il posto del soprammobile.
I Gadget di Ghirardello ironizzano sul concetto di omaggio inteso nella società postindustriale, ancora legato al superfluo, all'oggettistica che nel mondo della produzione si eleva a rappresentanza di un'immagine istituzionale.
Ne sfrutta l'idea per catapultare l'omaggio ai piccoli giochi della nostra infanzia e ci souvenir di cattivo gusto, traslati in primi attori di un immaginario ingigantito che prende il posto dei prodotti accreditati dal consumo contemporaneo.
Lo fa operando su un'ambiguità di fondo: la statuetta di porcellana, il soldatino e la bambola sono decontestualizzafi e straniati, inseriti in atmosfere improbabili e asettiche, parallele a quelle visualizzate nei giochi virtuali, che però odorano di muffa e naftalina, come se il mouse del computer avesse attinto la propria energia dalla carica emozionale di un vecchio armadio.
II sapore metallico suggerito dalle tonalità fredde, dal grigio-azzurro che contamina le superfici, si mescola ai toni caramellosi che accompagnano il carattere frivolo degli oggetti e all'ironica severità suggerita dalla loro centralità aurea.
Ghirardello fa loro un ossequio, dicevo, ne riabilita la formo e la materia - sottile e fragile nella statuetta, più aggettante e grossolana nel soldatino di plastico uscito da uno stampino industriale.
E' un omaggio alla potenzialità del ricordo e del pensiero, allo sguardo che dal videogame ricostruisce l'identità della pittura.

Sabrina Zannier