critic's texts

Antonella Gatti Bardelli
The bubble and other stories, May 2010
Brevi racconti e testi poetici di Antonella Gatti Bardelli scritti in occasione della mostra di Aldo Ghirardello \"Il suo mondo. La bolla e altre storie\" presso la galleria Clocchiatti, Udine, Maggio 2010


La spiaggia
Enrico caro,
Il postino recapita a casa una lettera, la mia lettera, non la leggerai mai lo so già, anche se da giorni la vedi senza vederla sul tavolo accanto al telefono di casa e allora ci scrivo proprio quello che voglio e dopo averti indirizzato un caro con la melodia del tuo nome inizio con una domanda, la stessa che mi gira dentro da quando ho l’impressione che il destino abbia deciso di tenerti lontano da noi senza baci, parole e vita…
Cosa vuoi dirmi papà? A cosa stai pensando?
Mi guardi, sembri attento, accenni ad un sorriso…
“ Ma cosa sono lacrime quelle che vedo? Dimmi di no ti prego, dimmi che non stai piangendo tesoro dolcissimo”… No, per fortuna no, era solo uno sbadiglio uno stupido inconsapevole sbadiglio…
Enrico mio, papà migliore del mondo, sì tu lo eri e lo sei per me il migliore del mondo, continua a dirlo anche chi ti conosceva prima che arrivasse Lei, la più grande ammaliatrice che conosco, la malattia, quella che senza annuncio e con un prezzo impagabile ti ha portato via da noi lentamente, giorno per giorno, lasciandoti muto, fragile, senza difese…
Brutta ladra d’amore, di cuore, di vita, sto parlando con te! Ti prego ridammi mio padre ne ho bisogno, soltanto lui sapeva guardarmi con quella dolcezza degli occhi ripetendomi cento volte ciao bella anche quando mi vedeva al mattino senza un filo di trucco e con due borse sotto gli occhi che raggiungevano il sorriso senza fatica.
Enrico caro riportami ti prego su quella spiaggia a Grado, quell’unico suono che riesci a pronunciare solo a mezzanotte, solo nel mezzo del sonno quando la malattia per scherzo del destino o cosa ti restituisce la bellezza della parola…
GRADO GRADO GRADO GRADO GRADO grado grado grado… Andiamo a Grado…
Che rimpianti che sento, che duri pesanti impossibili rimpianti da sopportare come solo il non averti più come un tempo sa essere.
Come avrei voluto poterti parlare di più, ascoltarti di più, ora che so che non mi è permesso… le tue idee, la tua creatività, la tua infinita dolcezza, il tuo irrefrenabile ottimismo anche a dispetto del vero era capace di farmi sognare come nient’altro cuor mio.
Chissà quante volte negli anni della mia prima maturità ti ho ascoltato senza sentirti, ho fatto finta di prestare attenzione ai tuoi rimproveri, e non ho capito tutto quello che potevi insegnarmi.
Ma ora è forse solo troppo tardi per questo non ti pare? Ed è anche ingiusto che io ti parli come tu non ci fossi, perché ci sei eccome se ci sei…
Papà mi vedi come sono felice? Sai quello che è passato nella mia vita da quando sembri non esserci più? Sai come sono caduta, fortemente caduta e come ho saputo rialzarmi? Sai dell’amore, di quello che fa volare il cuore, quello hai sempre avuto per mamma e che ora finalmente vivo anch’io? Dimmi di sì, ti prego, dimmi che riesci a vedere al di là del mio imbarazzo quando non so come rapportarmi al tuo silenzio, dimmi che sai che ti amo tantissimo anche se non sono sempre con te pur essendoti così vicina.
Enrico mio, mio, mio, sì mio e per la lunghezza di questa lettera di nessun altro, ti guardo col cuore tra le mani, col sorriso sulle labbra, con le lacrime soffocate dentro e ti prometto che un giorno, molto presto, ti riporterò su quella stessa spiaggia che hai tanto amato un tempo.
Tua figlia
Antonella

Autoritratti.

Autoritratti: Immagini di vanità condivisa.


Facce senza volto

Folle io?
Forse… folle per amarmi ancora e non voler soccombere a questo destino assurdo che ci vuole annientati, facce senza volto chiuse nella prigione delirante di un pensiero…
Folle io?
Forse… folle per dare un così alto valore alla mia dignità di uomo e per continuare a portarmi rispetto in questo luogo che non ha spazio luce e colore per piangere…
Folle io?
Forse… folle per non aver perso la speranza, la vita, il battito del cuore…
Folle sì, per credere con tutto me stesso che anche senza faccia e vita il ricordo di me, il ricordo di noi ci renderà eterni…

Occhio
Fammi entrare ti prego, lascia che ti guardi dentro…
C’è una malinconia che ci appartiene dietro quel tuo sguardo che come la pioggia sottile scivola sui nostri volti disperati…
Note di intonazione stonata al loro apice urlano la nostra solitudine e ci ricordano da sempre la musica di un dolore sotto pelle che parla di noi…
Occhi fissi sbarrati catatonici si alternano al tuo sguardo di luce quello che rimane nel mio ricordo di te…
Amore, ricordati, chiudi gli occhi quando il mondo vuole guardarti per sola curiosità e giudizio…
Aprili a me, fammi entrare, ti prego lascia che ti guardi dentro…
Ti prometto che non racconterò a nessuno il segreto di quella luce, la magia della tristezza di un canto solitario quando supera il dolore e torna in vita…