testi critici

Luciano Perissinotto
Testo della mostra "Verso su Carta", novembre 1990
Galleria Contemporanea, Padova

Con difficoltà riusciamo a sottrarci alla tentazione di cogliere nell'opera di Aldo Ghirardello ascendenze surrealiste, sia pure contaminate da altri prestiti contratti presso avanguardie più o meno storiche. Forse perché, conoscendo i suoi trascorsi, abbiamo ancora memoria di certi ammiccamenti con spartiti picassiani inquinati da fughe che lasciavano intuire - ed oggi se ne conferma - l'affacciarsi, il prendere corpo di una inquietudine intellettuale, che ora porta l'autore friulano ad organizzare il suo, segno lungo percorsi di straordinaria fluidità ed a sciogliere il suo lessico cromatico in episodi solo apparentemente scomposti, disuniti, segmentati.
L'analisi comparata dei due periodi ci induce ad una considerazione: alla composizone centripeta della prima fase, s'è venuto sostituendo il dilatarsi centrifugo, lo sconfinamento, associato ad una smaterializzazione dell'elemento figurativo, suggerita, quasi sottintesa, più che proclamata.
Ghirardello s'è emancipato anche dall'orchestrazione cromatica proprio perché indicativa di un esercizio nuclearmente centralizzante, e l'ha sostituita con uri eloquio flebile, frantumato, episodico, dove gli intercalari e le notazioni agiscono in prima persona senza preoccuparsi della sintassi, consapevoli di. essere visualizzazioni di accadimenti di cui, in mancanza di segni premonitori e senza neppure un cenno di relazione, si percepisce solo l'aspettativa.
A Ghirardello non è richiesto di giustificare un accadimento che solamente presente. Egli lo visualizza avanzando proposte che sono - e non potrebbe essere diversamente - innovative: rifugge dall'eloquio pittorico per adottare un linguaggio di rapidi appunti, quasi l'incalzare degli eventi gli sottragga il tempo per uno svolgimento più elaborato: solamente il segno guizzante e la celere notazione cromatica hanno un senso, come lo ha I'incontaminato bianco del supporto cartaceo, parafrasi di affrancamento colle tradizionali consuetudini pittoriche.
In prospettiva, si apre il paesaggio dell'aspettativa: un paradossale accostamento i di semplici indicazioni naturali con la figura umana; evocata da un profilo o solo sottintesa. Non è il paesaggio dell'impossibile, pur sottraendosi alla verifica della prova ottico. È il paesaggio dell'ipotesi, non lo spazio entro cui vorremmo proiettore le nostre utopie: è saturo di presentimenti, difficili do interpretare perché snebbiati fra tanti interrogativi ed immersi nel silenzio dell'indefinibile. Nel silenzio perché, né voce, né suono, si sono ancora lasciati udire.
L'ipotetico sostituisce il possibile? In un certo senso sì e non c'è nulla di cui scandalizzarsi perché il mondo dell'assurdo comune è il reale dell'immaginario di Ghirardello, estraneo per natura alla drammatizzazione e tutto intento a scrutare i segni di una cometa rivelatrice di quelle, idee che troviamo ideograficamerite impresse nei profili delle figure e nelle sonorità delle notazioni cromatiche. Anzi, proprio queste, formalizzate ora in forma composta, ora disordinata, danno corpo ad una varietà di modulazioni, che evocano l'ampio ventaglio di sentimenti e di reazioni proprie dello sensibilità e del comportamento dell'uomo.
Certo, perché a presentire il domani non può essere che l'uomo, intellettualmente attivo, attento a cogliere i segnali dei tempi nuovi: come Ghirardello; che mefaforizza tutto in segno ed in colore e la cui ragione dì vita è la gioia di sentirsi libero, alleggerito da quei condizionamenti che gli impedivano di immaginarsi un mondo dove segno e colore potessero rincorrersi, come fanno nello sua opera recente; nel primo mattino di una nuova età.

Luciano Perissinotto